LA MESSA - L'OSTIA Capitolo V

 

Questi due argomenti, che nell'opuscolo protestante formano due diversi capitoli, li trattiamo qui insieme perchè intimamente collegati.

 

Gli Evangelici che - come abbiamo sopra veduto - sostituiscono arbitrariamente al triplice ordine sacerdotale di vescovi presbiteri del Vangelo i pastori gli anziani ed evangelisti spacciandoli per sinonimi indicanti la stessa cosa, con le domande 31, 32, 34, 36, 40, 44, 45 ci invitano a dimostrare con la Bibbia che "Gesù Cristo abbia istituita la Messa Cattolica e non la semplice Santa Cena degli Evangelici"; - che "Gesù e gli Apostoli dicessero la Messa"; - che "la Messa sia identica alla Santa Cena, si sia servito dell'Ostia e non del pane e del vino" (Mt. 26:26-28); - che "solo il prete possa comunicarsi con l'Ostia e il vino, e che il popolo debba contentarsi della sola Ostia- (Mt. 26:27); - che "la Santa Messa debba essere detta in latino, cioè in una lingua non compresa dal popolo" (I Cor. 14:9-10).

 

Gli Evangelici, che ci propongono queste domande ed altre secondarie, a cui risponderemo nel corso di questa trattazione, sono proprio certi che la loro Santa Cena sia identica all'ultima Cena di Gesù?

 

Dal Vangelo sappiamo che Gesù istituì l'Eucarestia nel corso dei riti della Cena pasquale ebraica, riti che includevano un preciso cerimoniale col tradizionale agnello, le erbe amare, il canto di certi salmi, certe formule di benedizione sulla terra, su Gerusalemme, ecc. Tutto questo avviene nella Santa Cena degli Evangelici?

 

Certamente che no. E allora come possono dire che essa è identica a quella di Gesù?

 

E' stato agli Apostoli (i soli lì presenti) e non ad altri, che Gesù disse: "Fate questo in memoria di me" (Lc.22:19); e solo essi, quindi, avrebbero potuto adattare il rito cambiando, ad esempio, il luogo, la lingua, i canti complementari, le cerimonie, ed altre modalità della celebrazione. E proprio questo ha fatto la Chiesa cattolica - immediata e diretta ereditaria degli Apostoli - lungo il corso dei secoli: ferma restando la sostanza della celebrazione fino alla più scrupolosa conservazione delle parole istitutive, ha sostituito - secondo le mutevoli esigenze dei tempi - al primitivo aramaico la lingua greca, il latino, idiomi orientali ed oggi le lingue parlate.

 

Anche quanto alla materia usata da Gesù per la sua istituzione, la Chiesa cattolica ha sempre usato il pane e il vino anche se non sempre ha ammesso tutti i fedeli al calice (e ciò perchè non necessario alla Comunione e per motivi pratici facilmente intuibili). Quanto all'ostia, cosa è se non pane azzimo (cioè non lievitato) come quello usato da Gesù? Ha forse Gesù proibito di usare pane rotondo? Del resto la Chiesa cattolica ha usato pane anche di altra forma e colore come pure pane fermentato.

 

Di queste e di simili questioni che non toccano per certo la sostanza della veneranda istituzione, si servono i Protestanti, come di cortina fumogena, per stornare l'attenzione dalla cosa più importante che rende invece e con tutta realtà sostanzialmente differente la Santa Cena degli Evangelici da quella di Gesù, il fatto, cioè, che essa non viene celebrata - come Gesù ha ordinato- dagli Apostoli, né dai loro legittimi successori, ma da un semplice battezzato!

 

Ciò premesso, esaminiamo più attentamente se Gesù istituì realmente "la Santa Cena degli Evangelici e non piuttosto la Messa cattolica" come si vorrebbe contestare nella domanda n.31.

 

Che nell'Ultima Cena non si trattasse di semplice pane e vino -"come la intendono e la celebrano gli Evangelici - ma di vero Corpo e Sangue di Gesù Cristo, "offerti in cibo e bevanda ai discepoli sotto le due specie, si deduce con assoluta certezza dalla stessa S.Scrittura.

 

Trattandosi di una istituzione ardua per la mente umana e di sorprendente importanza per la comune salvezza, quale sarebbe stata quella del mistero eucaristico, Gesù - per meglio disporvi gli animi - lo preannunzia nella promessa, esplicita e solenne, che ne fa a Cafarnao, all'indomani della moltiplicazione dei pani, e che Giovanni riporta, con ricchezza di particolari, al capo sesto del suo Vangelo. Dal discorso, animato e drammatico, di Gesù alla folla emerge:

 

a) - si tratta anzitutto di una promessa, a cui sarà dato compimento solo in seguito: "Il pane che io darò...";

 

b) - Gesù indica se stesso come pane vivo: "Io sono il pane vivo, disceso dal cielo; e cibo vero:" ... la mia carne è veramente cibo e il mio sangue è veramente bevanda";

 

c) - "mangiare" di questo cibo e "bere" di questa bevanda è assolutamente necessario per conseguire la vita: "Se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non berrete il suo sangue, non avrete la vita in voi";

 

d) - i Giudei hanno capito bene che non era questo un modo di dire, ma che si trattava di mangiare proprio la sua carne e di bere il suo sangue, tanto che essi "questionarono tra di loro dicendo: Come può costui darci da mangiare la sua carne? " E ritenendo la cosa impossibile ed assurda, andavano ripetendo: " ... questo linguaggio è duro, e chi mai può ascoltarlo? e molti se ne allontanarono";

 

e) - anche di fronte al fatto doloroso dell'allontanamento di molti Gesù non modifica o attenua il suo dire, ma anzi lo conferma con giuramento: "In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e bevete il suo sangue, non avrete la vita in voi. Chi si ciba della mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna ed io lo risusciterò nell'ultimo giorno" (Gv.6:53-54).

 

Questa promessa chiara ed inequivocabile, Gesù l'attua puntualmente nell'ultima Cena. Quivi, dopo di avere cambiato il pane e il vino nel suo corpo e nel suo sangue con le parole: "Prendete e mangiate, questo è il mio corpo; ... prendete e bevete, questo è il mio sangue", comanda agli Apostoli (non certo al popolo che non era presente) di fare ciò che egli aveva fatto: "fate questo in memoria di me", rendendoli con ciò stesso - come abbiamo già detto - partecipi del suo sacerdozio.

 

Ora, come fanno i nostri fratelli protestanti a mettere in dubbio e a contestare - proprio come gli altercatori del Vangelo - che quello che Gesù - Figlio di Dio e verità infallibile - chiama "mio corpo e mio sangue" non sarebbe invece realmente tale? Poteva Gesù trarre così in inganno la nostra fede?

 

S. Paolo - quasi a prevenire ogni obiezione riguardo tale grande mistero della nostra fede - scrive:"Io infatti ho ricevuto dal Signore quanto vi ho insegnato, cioè che i Signore Gesù, nella notte in cui fu tradito, prese del pane e dopo avere reso grazie lo spezzò e disse: Questo è il mio corpo, dato per voi; fate questo in memoria di me. Così pure, dopo avere cenato, prese il calice dicendo: Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate queste tutte le volte che ne berrete, in memoria di, me" (I Cor.11-:23-26).

 

E quasi temendo d'essere frainteso circa l'effettiva presenza di Gesù nell'Eucaristia, l'Apostolo soggiunge: "Ognuno dunque esamini prima se stesso, e così mangi di quel pane e beva del calice, perchè chi mangia e beve indegnamente senza discernere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna" (ICor. 11: 28-29).

 

Se si fosse trattato di semplice pane e vino - mangiati in una cena, sia pure simbolica, per ricordare la morte di Gesù, come fanno appunto gli Evangelici - S.Paolo non avrebbe certo affermato che "mangia la propria condanna chi lo mangia indegnamente senza discernere il corpo del Signore".

 

Ed è per questa assoluta certezza, fondata così chiaramente nella S.Scrittura e quindi nell'infallibile parola di Dio, che la Chiesa cattolica ha sempre prestato culto di adorazione all'Ostia consacrata, dichiarando dogma di fede la presenza reale di Cristo nell'Eucarestia. Fa quindi semplicemente sorridere la leggerezza con cui si afferma nell'opuscolo protestante. "L'adorazione dell'ostia fu sancita da Papa Onorio III nell'anno 1220. Così la Chiesa Romana adora un Dio fatto dalle mani di uomini. Tale pratica è il colmo dell'idolatria ed è assolutamente contraria allo spirito del Vangelo- (cfr.pag. 26, n. 25).

 

Ma i Protestanti, con a capo Lutero, non si limitano a negare la presenza reale di Gesù nell'Eucaristia tacciando i cattolici di idolatria, ma respingono tale celebrazione - chiamata dalla Chiesa cattolica "Messa" - quale vero e proprio sacrificio, e ci chiedono di provare con la Bibbia "che la messa sia un sacrificio e la ripetizione giornaliera del sacrificio di Cristo sulla croce" (n.33).

 

Ad essi, dal momento che all'ultima Cena del Redentore hanno sostituito con la loro Santa Cena una semplice e sterile rievocazione, senza alcun riferimento al sacrificio compiuto da Gesù sul Calvario, la cosa non può arrecare che meraviglia.

 

Che la Messa sia invece anche vero e proprio sacrificio, ripresentazione incruenta di quello cruento del Calvario, lo ha vaticinato già nel Vecchio Testamento il profeta Malachia, il quale annuncia chiaramente la fine del sacrificio levitico e dei sacrifici della Legge antica per dar luogo a un nuovo sacrificio che li avrebbe sostituiti: "Oh, ci fosse fra di voi chi chiude le porte, perchè non arda più invano il mio altare! Non mi compiaccio di voi, dice il Signore degli eserciti, non accetto l'offerta dalle vostre mani! Poichè dall'oriente all'occidente grande è il mio nome fra le genti e in ogni luogo è offerto incenso al mio nome e una oblazione pura, perchè grande è il mio nome fra le genti, dice il Signore degli eserciti" (Ml.1:10-11).

 

Il nuovo sacrificio vaticinato da Malachia è appunto quello compiuto da Gesù sul Calvario: la celebrazione dell'ultima Cena e la Messa dei cattolici non sono due sacrifici, ma lo stesso e l'unico sacrificio del Calvario, uno ed unico tanto come attualità eterna nel pensiero di Dio quanto nell'evento storico umano.

 

Se la Messa non fosse vero e proprio sacrificio, identico a quello del Calvario, il vaticinio di Malachia non potrebbe dirsi pienamente avverato perchè solo così il sacrificio della croce è celebrato "in ogni luogo" e "dal sorgere del sole al suo tramonto".

 

Infatti il sacrificio del Calvario fu offerto non in ogni momento della giornata "dal sorgere del sole al suo tramonto" ma in un'ora determinata, senza neppure la possibilità di potersi ripetere; fu offerto non in ogni luogo della terra - come indica il vaticinio - ma in un luogo soltanto, cioè sul Calvario.

 

Nella Cena e nelle Messe celebrate in tempi e luoghi diversi è sempre lo stesso sacrificio della croce che è reso presente - ripresentato - nel tempo e nello spazio, in virtù delle parole consacratorie dette da Gesù e in nome di Lui ripetute non da un battezzato qualsiasi ma dal sacerdote , ciò debitamente abilitato con una particolare consacrazione, l'Ordine sacro.

 

Che si tratti di vero sacrificio emerge dalle parole istitutive di Gesù: "Questo è il mio corpo, che è dato per voi; questo è il calice della nuova alleanza nel mio sangue, che è sparso per voi." (Lc.22:19-20). "E' dato per voi", cioè, dato, consegnato alla morte per voi, in vece vostra, quale prezzo di riscatto per la vostra redenzione e salute. "E' sparso per voi", per la remissione dei vostri peccati. Dare la vita e spargere il sangue per la remissione dei peccati è offrire un sacrificio (Cfr.M.Sales: il Nuovo Testamento, vol.I). "E' impressionante la parola "dato sparso per voi", che indica che il corpo del Signore, massacrato dalla crocifissione il giorno dopo, è lì presente sulla mensa dell'ultima Cena" scrive P. Parente (Teol. del Cristo.. vol.II, pag.376).

 

S.Paolo, a questo proposito, afferma: "Ogni volta che mangiate questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore fino a quando Egli verrà"

 

Anche la Tradizione della Chiesa Cattolica è unanime nel riconoscere che la Messa è vero e proprio sacrificio mediante la celebrazione dell'Eucarestia nella quale "vengono ripresentati la vittoria e il trionfo della morte" di Cristo (Cost. Apost. sulla Sacra Liturgia "Sacrosanctum Concilium", nn.6 e 7).

 

Se ne ha aperta conferma da I Cor.(10:14-22), dove la comunione eucaristica con Cristo è paragonata ai pasti sacrificali dell'Antico Testamento, per i quali i fedeli entravano in comunione con l'altare (vv.16-18), e contrapposta ai pasti sacri che seguivano i sacrifici pagani (v.21).

 

E' quindi chiaro che Paolo colloca nettamente l'Eucarestia in una prospettiva sacrificale. Questo non significa che il sacrificio di Cristo, compiuto una volta per sempre, si moltiplichi ad ogni Messa, ma solo che esso viene perpetuato nel suo memoriale eucaristico, come già notato. E' quindi inutile citare la lettera agli Ebrei contro la realtà sacrificale della Messa - come fanno gli autori opuscolo alla domanda 33 - proprio perchè essa non intende essere altro che il medesimo unico sacrificio di Cristo.

 

Quanto alla domanda

 

46 Che la Messa debba e celebrata dentro ore fisse, ecc. ? e i tre testi biblici citati, è da notare che Cristo istituì l'Eucarestia nel corso di una cena, si, ma una cena rituale, cioè la Pasqua ebraica, per far comprendere che nel nuovo rito aveva pieno compimento l'antico e si stabiliva la "Nuova Alleanza nel suo sangue. I primi cristiani usavano unire ancora il pasto fraterno con l'Eucarestia, ma come risulta dal citato brano (I Cor.11:20-34) si verificarono gravi abusi ché costrinsero a modificare tale prassi, sostituendo la mensa della Parola di Dio (letture bibliche) alla mensa corporale.

 

Gli interventi a tale riguardo furono compiuti dall'autorità della Chiesa per il succitato potere di legare e di sciogliere.

 

S.Ireneo (-202) nel IV libro della sua grande o apologetica Adversus haereses, c.17, così scrive:"Ai discepoli Gesù diede ordine di offrire le primizie delle cose create a Dio ... ed Egli stesso, anzi, scegliendo tra le cose create il pane. lo prese, rese grazie, dicendo: Questo è il mio corpo. Ugualmente prendendo, sempre tra le create come noi, il calice, affermò che quello era il sangue. Istituì in tal modo il nuovo sacrificio del Nuovo Testamento, che la Chiesa, come l'ha ricevuto dagli apostoli, offre in tutto il mondo a Dio, che ci appresta gli alimenti come primizie dei suoi doni nella Nuova Alleanza: tutto questo già Malachia, uno dei dodici Profeti, aveva predetto .....".

 

"A nessuno può sfuggire l'importanza di queste affermazioni limpide e precise, che potrebbero bastare a riconoscere in S. Ireneo un testimone valido a provare nei primi due secoli l'esistenza dell'Eucaristia sacramento-sacrificio, celebrato e vissuto da tutta la Chiesa" (P. Parente, op.cit.pag.380).

 

Nel Catechismo pubblicato da S.Pio V per decreto del Concilio di Trento (1545-63) si legge al N.237: "Il Concilio di Trento ha dichiarato che il sacrificio della Messa fu istituito da Gesù Cristo nell'ultima Cena e con esso si offre a Dio un vero e proprio sacrificio nella Chiesa, la quale, pur celebrando Messe in memoria e onore dei Santi, offre il sacrificio non ad essi, ma solo a Dio che i Santi ha coronato di gloria immortale ... lo ringrazia per le insigni vittorie riportate dai martiri e implora il loro patrocinio affinchè si degnino d'intercedere per noi in cielo, mentre noi facciamo memoria di loro in terra".

 

E al N.238:" ... il sacrificio che si compie nella Messa e quello che fu offerto sulla croce non sono e non debbono essere che un solo medesimo sacrificio, come una e identica è la vittima, cioè Cristo Signore nostro che si è immolato una sola volta sulla croce in modo cruento. Ora la vittima cruenta e la incruenta sono un'unica vittima e non due. E anche uno e identico il sacerdote, cioè Cristo medesimo, poichè i ministri celebranti non agiscono in nome proprio, ma in persona di Cristo quando consacrano il suo corpo e il suo sangue...; il sacerdote non dice: Questo è il corpo di Cristo, ma: Questo è il mio corpo ... ; l'augusto sacrificio della Messa non è soltanto un sacrificio di lode e di ringraziamento né una semplice commemorazione di quello della croce, ma un vero sacrificio propiziatorio col quale ci rendiamo Dio placato e favorevole ... ; la virtù di questo sacrificio è tale da giovare non solo a chi lo offre e a chi lo riceve, ma anche a tutti i fedeli o che siano ancor vivi sulla terra, o che essendo già morti nel Signore, non siano ancor completamente purificati.Perchè è certa la tradizione apostolica che il sacrificio della Messa si offre utilmente anche per i morti, oltreché per i peccati, le pene, le soddisfazioni, le angustie e calamità svariate dei vivi ...... Esiste un intimo nesso tra il sacrificio eucaristico e il sacramento dell'Eucaristia. Le parole consacratorie realizzano l'uno e l'altro nel valore unitario della dizione in duplice significato sacramentale e sacrificale: per il sacramento, le parole: Questo è il mio corpo - Questo è il calice del mio sangue; per il sacrificio; queste medesime parole con le altre: che è dato per voi - che è sparso per voi.

 

Materia del sacramento dell'Eucaristia sono il pane che è cibo dell'uomo e il vino che ne è bevanda. Essi, alimento naturale, vengono assunti a significare un alimento d'ordine superiore. Infatti, per la conversione - detta transustanziazione -, operata dalle parole consacratorie proferite sul pane e sul vino, la sostanza del pane si converte nella sostanza del corpo del Signore e la sostanza del vino in quella del suo sangue, perchè il corpo e il sangue del Signore siano nostro alimento spirituale e soprannaturale.

 

L'Eucaristia è dunque sacramento. Del pane e del vino restano solo le specie, senza soggetto, sostenute da virtù divina. Sotto le specie del pane e del vino c'è veramente, realmente, sostanzialmente il corpo e il sangue di Cristo e, per concomitanza, la sua anima e la sua divinità.

 

"Questo è domma di fede intangibile, da accettarsi non per motivi razionali, ma per fede" (P. Parente, op.cit.,pag.400): E' il mistero della Fede!

 

Cristo Signore è presente nel sacramento dell'Eucaristia e vi continua la sua presenza finchè le specie permangono.

 

Le tre parole: "veramente, realmente, sostanzialmente" si oppongono alle tre diverse interpretazioni dei Protestanti sulla presenza di Cristo nell'Eucarestia:

 

1) - Carlostadio, Zwinglio, Ecolampadio sostengono che la presenza è solo figurativa, come, per esempio, se un marito, prima di partire per un viaggio, lascia alla moglie un suo ritratto perchè lei così l'abbia presente.

 

Il Concilio di Trento, invece, afferma che Cristo è veramente presente nell'Eucaristia.

 

2) - Altri pensano che Cristo sia presente mediante la fede. I sacramenti, secondo loro, hanno il solo compito di tenere viva la fede in Cristo. In particolare, tale funzione viene attribuita all'Eucaristia come ricordo di ciò che Cristo ha fatto nell'ultima notte prima della morte.

 

Il Concilio, invece, afferma che Cristo è realmente presente nell'Eucaristia e ciò indipendentemente dalla fede di chi riceve il sacramento. Infatti, chi non avesse fede, riceverebbe il sacramento anche se solo materialmente.

 

3) - Giovanni Calvino: per lui il Cristo è presente nell'Eucarestia virtualmente in quanto esercita in essa un potere santificatore. Cristo, cioè, dal cielo irradia una virtú divina nei fedeli che si accostano all'Eucarestia.

 

Il Concilio, invece, afferma che nell'Eucarestia Cristo è presente sostanzialmente, cioé, sotto le specie del pane e del vino vi è la sostanza del corpo e del sangue del Signore e,

 

per concomitanza, la sua anima e divinità, in armonia di realismo e simbolismo.

 

Martin Lutero parla d'una presenza del Cristo nel pane e con il pane, che comincia e finisce nell'atto in cui il fedele riceve il pane, nell'uso che ne fa. E' la cosiddetta dottrina della consustanziazione e impanazione per la quale sarebbero coesistenti pane e corpo di Cristo.

 

Il Concilio afferma invece che dopo le parole della consacrazione la sostanza del pane e quella del vino non vi sono più e che sono state convertite nella sostanza del corpo e del sangue di Cristo. Del pane e del vino non restano che le apparenze, le specie:" ... con la Consacrazione del pane e del vino si ha una conversione di tutta la sostanza del pane nella sostanza del corpo di Cristo nostro Signore e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del suo sangue; la quale conversione la Chiesa cattolica convenientemente e appropriatamente chiama transustanziazione"(can.4).

 

Se fosse come pensava Lutero, resterebbe compromessa la verità delle parole di Cristo:"Questo è il mio corpo", perchè ci corre un abisso tra queste parole e "qui c'è il mio corpo".

 

Dalle stesse parole di Cristo appare evidente che la sua presenza nell'Eucaristia non è solo reale ma anche permanente. Nel decreto III . del Concilio è detto: "La Santissima Eucaristia ha certamente in comune con gli altri sacramenti di essere il simbolo di una cosa sacra e forma visibile di una grazia invisibile; ma è tutta propria dell'Eucaristia questa cosa particolare e sublime, che gli altri sacramenti hanno solo il potere di santificare quando vengono usati, mentre nell'Eucaristia prima di essere amministrata già si contiene l'Autore della santità. Gli Apostoli, infatti, non avevano ancora ricevuto l'Eucaristia dalle mani del Signore, che già, tuttavia, affermava con verità essere il suo stesso corpo ciò che presentava loro".

 

La SS.Eucaristia è, dunque, sacramento permanente che continua ad esistere finchè le specie sacramentali rimangono incorrotte.

 

Cristo è tutto intero nell'eucarestia: come s'è detto sopra, vi è col corpo e col sangue in virtù del sacramento, vi è con l'anima e la divinità per naturale concomitanza, perchè Cristo Risorto non può scindersi (S.Tomm. Summa Theol.3, q.76).

 

Per la stessa ragione Cristo è tutto intero sotto ciascuna delle due specie, sebbene si possa dire che in virtù del sacramento è con la sostanza del corpo sotto le specie del pane e con la sostanza del sangue sotto quelle del vino (S.Tomm., ibidem a.2).

 

E' stato più volte affermato che in virtù delle parole della consacrazione la sostanza del pane e quella del vino vengono convertite, rispettivamente, nella sostanza del corpo e del sangue del Signore. Ma le specie - dette accidenti nell'uso scolastico - del pane e del vino, cioè la loro quantità dimensiva con le altre note sensibili permangono, per virtù divina, senza soggetto di inesione ma hanno una certa somiglianza di soggetto (S.Tomm.3,q.75 a.V ad primum e ad quartum).

 

Detti accidenti, così configurati, hanno valore di segno sacramentale poichè, essendo destinati al nutrimento sul piano naturale (infatti, l'ostia consacrata nutrisce, il vino consacrato inebria), dicono relazione reale con il corpo e il sangue del Signore in quanto nutrimento spirituale e soprannaturale in chi riceve il sacramento. "Cristo intero si fa presente nel sacramento per modo di sostanza, che è indipendente dal luogo e permette che nel sacramento, per concomitanza, ci siano anche le dimensioni quantitative di Cristo senza localizzazione (adattamento al luogo) (P.Parente, op. citata pag.397).

 

Nell'ostia consacrata il corpo di Cristo e la sua quantità dimensiva sono per modo di sostanza; negli accidenti la quantità dimensiva è circoscritta, posta nel suo modo naturale, di parti, cioè, estese e occupanti uno spazio. "Le specie sacre con la loro relazione reale accolgono in se stesse il Cristo immutato rendendolo sostanzialmente presente" (P. Parente, ibid.pag.401).

 

"La presenza di Gesù nell'Eucaristia ... dura, finchè rimangono inalterate le specie consacrate, come fu definito dal Concilio di Trento (Sess.XIII, can.4) e come risulta dalla perpetua prassi della Chiesa, che, anche fuori del tempo in cui si celebrano i sacri misteri, conserva e adora l'Eucaristia" (Card. Massimo Massimi, La nostra Fede, pag.28).

 

"Cristo nel sacramento non è soggetto al moto e ad altre mutazioni, che sono proprie degli accidenti, sotto cui Egli è "per modo di sostanza". Moto e mutamenti avvengono nelle sacre specie, ma Cristo non li subisce in sè, nel suo essere, che ormai è libero in cielo da ogni mutazione o alterazione" (P.Parente, ibid. pag.394). Perciò, quando il Sacramento vien portato in processione o nelle case degli ammalati e altrove, il movimento è delle specie in cui Cristo è presente per modo di sostanza.

 

L'Eucarestia in quanto sacramento:

 

1)E' nutrimento spirituale dell'anima mediante la conservazione e l'aumento della grazia santificante, delle virtù e dei doni dello Spirito Santo. Dà, insieme, come effetto particolare, la grazia sacramentale con la quale si ottiene il fine specifico dei singoli sacramenti;

 

2) Produce una speciale intima unione dell'anima con Cristo e il suo Corpo mistico, che è la Chiesa, mediante la carità; "Un solo corpo siamo noi sebbene molti, quanti partecipiamo dell'unico pane " (I Cor. 10: 17).

 

3) Libera dalle colpe d'ogni giorno (peccati veniali) e preserva dalle gravi.

 

4) E' pegno della gloriosa risurrezione dei corpi e insieme della vita eterna: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna ed io lo risusciterò nell'ultimo giorno" (Gv. 6:54).

 

La Comunione è necessaria agli adulti di necessità di precetto divino: "In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita"(Gv.6:53). E necessaria anche di precetto ecclesiastico ogni anno per la Pasqua. Non è però necessaria sotto tutte e due le specie, contenendo ciascuna di esse tutto il Cristo.

 

L'Eucarestia in quanto sacrificio:

 

1) Ha il fine di rendere il culto supremo a Dio: l'adorazione, il ringraziamento, l'espiazione o propiziazione, la domanda o impetrazione.

 

2) Gli effetti o frutti che ne derivano sono:

 

a) Frutto meritorio: della grazia e della gloria futura, che viene conseguito dal sacerdote - offerente ministeriale - e da quelli secondari, secondo la misura del loro merito personale, "ex opere operantis".

 

b) b) Frutto impetratorio: di beni spirituali e temporali - se utili all'anima -, provenienti dal sacrificio della Messa, in sè, "ex opere operato".

 

c) Frutto propiziatorio o espiatorio: il sacrificio della Messa ha il potere di dare riparazione a Dio e di rimettere i peccati mortali e veniali, "ex opere operato." d) Frutto soddisfatorio: il sacrificio della Messa ha il potere di rimettere sia ai vivi che ai defunti la pena temporale ancora dovuta per i peccati già rimessi, "ex opere operato".

 

Ricordiamo ai benevoli lettori:

 

1) Nel cimitero cristiano di Domitilla (sec.I-II) - Via Ardeatina in Roma -, su un loculo è scritto: "Signore Gesù, ricordati della nostra figlia".

 

2) Su lastra coeva conservata nel Museo Lateranense, IX,1 3: "Amerimmo a Rufina coniuge carissima benemerita. Dio accordi refrigerio al suo spirito".

 

3) Su altra, ancora, trovata presso Santa Sabina e ora conservata nel Museo Capitolino: "Attico, dormi in pace. Tu che sei sicuro della tua salvezza, prega istantemente per i nostri peccati".

 

Stimiamo che sia sufficiente la citazione di tali epitaffi per porre in evidenza come fin dai primi due secoli erano acquisiti i due concetti - conformi alla fede vissuta dai cristiani di allora - della preghiera a Dio per i defunti e della preghiera dei defunti per i viventi.

 

S.Agostino, con riferimento specifico al sacrificio della Messa, insegna: "Non ci può essere dubbio che i defunti ricevano aiuti dalle preghiere della Chiesa e dal sacrificio che dà la vita"(Serm.172). Anche ne "Le Confessioni (Lib.9,c.XI) ricorda le parole della madre morente: "Ponete questo corpo in qualsiasi luogo; non vi date nessun pensiero di ciò; solamente vi prego che vi ricordiate di me all'altare del Signore dovunque voi siate".

 

 

 

Se la Chiesa appoggia le sue preghiere per i vivi e per i defunti (dom.38 e 39) al sacrificio della Messa è perchè siano immensamente più efficaci. Gesù stesso ha infatti assicurato che qualunque cosa verrà chiesta al Padre in nome suo verrà concessa (Gv.14;13-14). E quindi tanto più le accoglierà se gli vengono fatte insieme all'offerta mistica del suo Sacrificio. Anche se questo è di valore infinito, come sappiamo, Dio resta tuttavia assolutamente libero sia nel concedere i divini favori, il perdono dei peccati in vita o il paradiso dopo la morte, come diremo anche in seguito trattando del Purgatorio.

 

Capitolo VI

 

LA VERGINE MARIA E I SANTI

 

 

 

Questi due capitoli, che nell'opuscolo figurano distinti, li trattiamo qui insieme per un migliore filo logico oltre che per maggior comodità.

 

Nel piano della salvezza Maria appare intimamente legata al Redentore: "Quando venne la pienezza dei tempi, mandò (Dio) il suo figlio fatto da donna ... affinchè ricevessimo l'adozione in figlioli" (Gal. 4A- 5). E nel Simbolo apostolico la Chiesa ci fa ripetere sempre - quasi a ricordarci il meraviglioso disegno divino -:"Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo e si è incarnato per opera dello Spirito Santo da Maria Vergine".

 

Nella Bibbia Maria appare come colei che più di ogni altra creatura è associata al Figlio suo. Preconizzata fin dagli albori dell'umanità (Gen. 3:15), presentata dai profeti come la mistica aurora che precede la venuta del Redentore, l'Apostolo dell'amore ce la mostra nel suo Vangelo solo due volte in momenti particolarmente significativi: all'inizio e alla fine della vita pubblica di Gesù. A Cana è lei - la madre - ad affrettarne l'ora, ottenendo il "primo, segno", sicché i suoi discepoli credettero in lui. Sul Calvario essa è unita in modo mirabile al Figlio redentore e ne riceve il testamento: Giovanni, simbolo della Chiesa, le viene affidato come figlio al posto di Gesù, ed egli lo riceve "come sua madre".

 

Da qui inizia la funzione di Maria, che sul Golgota partorisce nel dolore l'umanità redenta, ed ora - in piena rispondenza al piano della salvezza - continua in cielo (e stupirebbe che non fosse così) la sua missione materna dopo di averla compiuta nel Cenacolo(Atti 1: 15).

 

Dinanzi a tanta ineffabile missione e a così eccelsa dignità non può che stupire la domanda 49:"Che Maria debba essere chiamata la Madre di Dio? " (At.1:14).

 

I fratelli evangelici contestano così alla Vergine il più grande e il più fondamentale dei suoi privilegi.

 

E questo uno dei più gravi errori degli antichi eretici, condannato nel Concilio di Efeso del 431, in cui fu smascherata la falsità nestoriana e dove fu solennemente proclamato che "Maria è Madre di Dio".

 

Quando diciamo che Maria è Madre di Dio affermiamo implicitamente due verità fondamentali: la prima che Gesù, figlio di Maria, è vero uomo, altrimenti Maria non potrebbe essere sua madre; la seconda che questo suo figlio è anche vero Dio.

 

Affermiamo - in altre parole - che la seconda Persona della SS.Trinità, cioè il Figlio e Verbo divino, che nella sua natura divina è generato da tutta l'eternità dal Padre, è stato nuovamente generato nella pienezza dei tempi, nascendo come uomo, dalla Vergine Maria, ossia assumendo nel suo seno materno, senza alcun concorso umano e per sola opera dello Spirito Santo, una natura umana della medesima sostanza di quella di lei. Pur non avendogli data la natura divina, ciò che Maria dà alla luce è tutta la Persona del Verbo incarnato, il Cristo tutto intero uomo e Dio insieme, per cui ella è e deve dirsi Madre di Dio.

 

Voler negare alla Vergine il titolo di Madre di Dio per il fatto che a Cristo, suo figlio, ella non ha dato la natura divina, è un pretesto puerile. E stata forse la mamma nostra a darci l'anima spirituale ed immortale creata immediatamente e direttamente da Dio nell'atto stesso della concezione? Eppure a nessuno è mai venuto in testa di pensare alla propria madre come alla madre della sua parte materiale soltanto, vale a dire del solo suo corpo, e non di tutta la persona.

 

I termini di madre e di figlio - come è noto - si riferiscono alla persona e non già alle parti e agli elementi che la compongono. Nessuno dice "la madre del mio corpo", ma "mia madre", cioè la madre di me, formato di anima e corpo.

 

Lo stesso - in certo qualmodo - è avvenuto nel mistero dell'incarnazione: la Vergine dando alla seconda Persona della SS.Trinità, cioè all'Unigenito Figlio del Padre celeste, una vera natura umana della stessa sostanza della sua - così come tutte le madri di questo mondo fanno riguardo ai propri figli - è divenuta veramente e realmente sua Madre, Madre del Figlio divino, e per conseguenza Madre di Dio fatto uomo.

 

Ed è appunto perchè Madre di Dio - collocata da Dio stesso, per questa singolare missione, al di sopra degli Angeli e dei Santi - che nella Chiesa cattolica, come meglio in seguito diremo, la si onora e la si venera con culto speciale, detto con termine greco di iperdulia, ma che differisce sempre ed essenzialmente da quello di latria, cioè di adorazione, dovuto unicamente a Dio.

 

Dopo il dono della divina maternità i Protestanti contestano alla Vergine - (nella domanda 47):" Che Maria sia stata concepita senza peccato? "(Lc.1:46-47; Rom.3:10-23) - il singolare privilegio dell'immacolato concepimento, che cosi viene formulato da Pio IX nella sua definizione dommatica dell'8 dicembre 1854: --- ... con l'autorità del Nostro Signor Gesù Cristo, dei beati Apostoli Pietro e Paolo e Nostra, dichiariamo, pronunciamo e definiamo che la dottrina, la quale ritiene che la beatissima Vergine Maria, nel primo istante della sua concezione, per singolare grazia e privilegio di Dio onnipotente ed in vista dei meriti di Gesù Cristo, Salvatore del genere umano, sia stata preservata immune da ogni macchia della colpa originale, è rivelata da Dio e perciò è da credersi fermamente e costantemente da tutti i fedeli".

 

Verità dunque rivelata, non in contrasto ma contenuta nella S.Scrittura. Apriamo infatti il libro della Genesi, il Protovangelo come è stato chiamato, e vi troviamo l'immane tragedia abbattutasi sul genere umano: Eva, istigata dal demonio, coglie dall'albero proibito e ne dà ad Adamo e tutt'e due, non curandosi della minaccia di morte, trasgrediscono il comando divino trascinando nella rovina - come capostipiti - tutta la loro progenie.

 

Dio misericordioso non abbandona per sempre l'uomo nell'abisso in cui è precipitato e si prende subito una rivincita sul demonio con la promessa del Redentore: "Poichè hai fatto questo - dice al tentatore - maledetto sii tu ... Porrò inimicizia fra te e la donna, fra il seme tuo e il seme di lei; essa ti schiaccerà il capo e tu insidierai il suo calcagno (Gen.3:14-15).

 

Si tratta di una sola e identica inimicizia tra la donna e la sua stirpe contro il serpente e la sua stirpe. Cristo - stirpe di Maria - ha attuato in pieno questa inimicizia sul suo avversario, riportandone un completo trionfo con la sua morte e la sua risurrezione. Lo stesso deve quindi essere avvenuto tra la donna e il serpente altrimenti la profezia biblica non potrebbe dirsi avverata.

 

Questa donna, preconizzata nel testo sacro, non poteva certo essere Eva, divenuta schiava del demonio, e tanto meno altre donne di cui ci parla la Bibbia. Una inimicizia perfetta e totale esige infatti che la donna non sia stata amica - cioè schiava - del demonio neppure per un istante della vita e fosse per conseguenza immacolata fin dalla concezione.

 

E che tale donna sia proprio Maria, risulta in modo evidente - oltre ad essere esso stesso argomento inconfutabile - dal saluto che l'Arcangelo Gabriele rivolge alla Vergine:"Ave, o piena di grazia, il Signore è con te" (Lc.1:28). Se è "la piena di grazia" per eccellenza, come appunto suona il termine greco "kecharitomene", ne segue che essa non è rimasta priva neppure per un breve istante, sia pure all'inizio della sua esistenza, a causa del peccato originale.

 

Anche Elisabetta, illuminata dallo Spirito Santo, riconosce in Maria tale grazia eccezionale e la saluta: "Benedetta sei tu fra tutte le donne e benedetto il frutto del tuo seno"(Lc.1:42).

 

L'immunità dalla macchia originale della Vergine risulta quindi in modo più che evidente dalle pagine della Bibbia e non sappiamo spiegarci il perchè i Protestanti abbiano a negarle questo dono che è di tanto decoro alla Madre di Dio. Ripugna infatti alla stessa ragione umana pensare che Maria prescelta e predestinata da Dio ad essere la Madre del Figlio suo, Salvatore del mondo, che doveva vincere satana e il suo regno, fosse soggetta per un istante solo proprio a satana.

 

Gli autori dell'opuscolo citano Romani (3:10-23) in calce alla domanda 47 per far credere che l'esenzione della Vergine sarebbe contro la dottrina paolina circa I'universalità della colpa e la conseguente universalità dell'opera redentiva di Cristo.

 

Ma non vi è affatto contrasto perchè la colpa originale pesa in generale sulla specie umana derivata da Adamo, mentre la preservazione di Maria si attua sulla linea della persona, non della specie. In Maria - per singolarissimo privilegio e in vista dei meriti del Figlio - la redenzione opera in modo preventivo, cioè non solo purificandola ma anche preservandola e colmandola di grazia fin dal primo istante del suo concepimento.

 

 

 

Nella domanda 58:"Che Maria sia salita al cielo anima e corpo? "(Gv.3:13), i fratelli evangelici contestano alla Vergine anche la sua assunzione al cielo, che Pio XII ha dichiarato domma di fede il 1 novembre 1950.

 

E' anche questa una verità che è stata sempre creduta nei secoli. Padri e Dottori della Chiesa ne hanno sempre trattato e i fedeli hanno in onore della Madonna assunta innalzato chiese e celebrate feste.

 

Dichiarandola verità di fede solo ora e dopo tanti secoli, la Chiesa non ha creato o inventato una nuova credenza di fede, come si afferma nell'opuscolo (pag.29), ma solo ha riconosciuto e solennemente dichiarato che essa è verità rivelata e come tale da credersi da tutti i fedeli; precisamente come un qualsiasi tribunale di questo mondo, quando sentenzia che un diritto appartiene a un individuo, non gli crea tale diritto, ma soltanto lo riconosce autorevolmente contro coloro che glielo vogliono contestare.

 

Anche di questa verità abbiamo infatti gli elementi fondamentali nella Bibbia:

 

a) la maternità divina ha creato tra Gesù e Maria vincoli talmente intimi e profondi da riuscire pressoché inconcepibile che il Figlio di Dio - onnipotente e amantissimo della Madre sua - non le abbia procurato la gloria dell'assunzione portandola con sè in cielo in anima e corpo alla fine della sua vita terrena;

 

b) Maria, vergine illibata nella sua divina maternità e che anche nel parto ha conservato il privilegio della sua integrità fisica, era anche giusto che non conoscesse la corruzione del sepolcro;

 

c) è innegabile verità di fede, fondata sulla Bibbia, che Maria è stata associata intimamente al Figlio nella completa vittoria contro il demonio. Era quindi conveniente che venisse a lui associata anche nella vittoria e nel trionfo sulla morte e sul peccato mediante la sua elevazione al cielo in anima e corpo, come è appunto avvenuto del Figlio suo.

 

Spogliata di questi molteplici e singolari privilegi, di cui Dio l'ha voluta adornata, i Protestanti non vedono in Maria che una donna qualsiasi la quale "visse e morì come

 

una cristiana esemplare". Per cui "il pregare e il celebrare delle feste in suo onore è un insulto alla sua memoria, ed essa stessa sarebbe la prima a protestare" (opuscolo pag. 14).

 

 

 

Passano quindi a contestare a lei e ai Santi in genere ogni potere di intercessione presso Dio: 53 "Che Maria abbia mai domandato e ottenuto da Dio qualche grazia o favore per qualcuno dei suoi devoti? - (50) Che Maria sia la Porta del cielo, la dispensatrice dei doni celesti, la Corredentrice col Nostro Signore ... ? ".

 

 

 

Per la Chiesa cattolica - non diversamente di quanto ammettono i fratelli evangelici nella domanda 64 - "santi" sono non soltanto quelli canonizzati, di cui abbiamo trattato rispondendo alla domanda 18, ma quanti - vivi e defunti - fanno parte, come amici di Dio, del Corpo Mistico di Cristo rendendo in tal modo possibile tra di loro quel felice scambio di beni che nel Simbolo viene chiamato "Comunione dei Santi".

 

Alcuni di tali membri del Corpo Mistico di Cristo o santi, morti a testimonianza della fede o di una virtù ( martiri, cfr. Apoc. 2: 10 e 12: 11) o dopo una vita ricca di opere buone (cfr.Mt.7:15-20), sono proposti a tutti i fedeli come autentici imitatori di Cristo, e quindi come modelli di vita cristiana. Ciò lo mette assai bene in evidenza S.Paolo: i fedeli, imitando lui, - come raccomanda di fare (1 Cor.4:16;Gal.4:12;Fil.3:17) - imiteranno il Cristo (1 Tess.1:6;Fil.2:5,ecc.) che egli stesso imita (I Cor.11:10). Infine essi devono imitare Dio (Ef.5:1) e imitarsi gli uni gli altri (1 Tess.L7;2:14;Ebr.6:14).

 

 

 

Nel testo 2:1-5 di I Timoteo - citato alla domanda 66 - Paolo istruisce Timoteo sul comportamento dei fedeli, e raccomanda tra l'altro che essi preghino per gli altri, anzi per tutti gli uomini, comprese le autorità civili. Insegna altresì che l'intercedere per gli altri è cosa lodevole e gradita a Dio, perchè la preghiera dei fedeli farà sì che i lontani possano conoscere la verità (cioè l'unico Dio e Salvatore) e quindi salvarsi.

 

Ne consegue che i fedeli - secondo la Bibbia - possono e devono concorrere al bene altrui anche mediante la loro intercessione presso Dio. Ciò è confermato da molti passi biblici (basti ricordare Gv.5:16-17; Rom. 15:30-31; Ef.6:18-19;Col.1: 9-10).

 

L'intercessione è la pratica della fraterna carità, legge fondamentale dei seguaci di Cristo.

 

Ora, se tale fruttuoso scambio di beni e di vicendevole aiuto è possibile tra i santi quando sono ancora viatori sulla terra, e quindi limitati nel tempo e nello spazio, perchè non dovrebbe essere loro più possibile - e in modo certamente più largo ed efficace - quando regnano con Cristo in cielo? A fianco di Cristo sono infatti chiamati i santi dopo la morte come da lui stesso promesso al buon ladrone:"Oggi sarai meco in Paradiso"(Lc.23:43).

 

La S.Scrittura mostra un esempio di intercessione dei martiri presso Dio e l'esaudimento di essa nell'Apocalisse. Nel linguaggio simbolico di questo libro, Giovanni mostra i Santi del cielo che, con le loro preghiere, riempiono di profumi i vasi d'oro, che salgono continuamente al trono dell'Agnello(5:8); queste preghiere non sono solo di lode, ma anche di intercessione per i loro fratelli bisognosi di aiuto sulla terra (6:9-11); la loro preghiera è ascoltata da Dio (8:3-4) e infine esaudita (9:13): qui l'espressione

 

"udii una voce dai lati dell'altare d'oro" indica appunto che quanto segue è frutto della preghiera dei martiri sopra descritti.

 

Se dunque i santi possono in cielo intercedere ed essere da Dio esauditi a favore dei fratelli bisognosi sulla terra, perchè mai questo, e in modo immensamente più efficace, non può farlo la Madre di Dio, che i fedeli invocano appunto loro Avvocata?

 

I Protestanti per negarlo si basano unicamente sul citato testo a Timoteo: "Non vi è che un solo Dio, uno solo è anche il Mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, che per tutti ha dato se stesso in riscatto (I Tim.2:5-6).

 

Ma è proprio questa verità paolina che la Chiesa cattolica ha sempre creduto ed affermato nel suo insegna mento! Sappiamo tutti, infatti, che Cristo è l'unico e vero Mediatore per avere redento l'umanità col sacrificio della sua vita. Ma dove è detto nella Bibbia che Cristo non possa - per gratuita sua benevolenza e a mirabile dignità dell'uomo - chiamare altri collaboratori nell'attuazione dell'opera salvifica da lui compiuta? Se Dio ha eletto Maria all'altissima dignità di Madre del Figlio suo, che vi è di strano se è stata chiamata anche a coadiuvarlo nell'opera della redenzione?

 

Si tratta - naturalmente - di mediazione subordinata e dipendente da Cristo ed è sotto questo particolare aspetto che la mediazione di Maria viene posta in evidenza dalla "Lumen gentium" del Concilio Vaticano II: "La funzione materna verso gli uomini in nessun modo oscura o diminuisce questa unica mediazione di Cristo, anzi piuttosto ne mostra l'efficacia. Poichè ogni salutare influsso della Beata Vergine sugli uomini non deriva da intrinseca necessità, bensì soltanto dal beneplacito di Dio, e sgorga dalla sovrabbondanza dei meriti di Cristo, si fonda sulla mediazione di lui, da essa assolutamente dipende e attinge tutta la sua efficacia; non impedisce minimamente l'immediato contatto dei credenti con Cristo, anzi lo facilita" (Cap.III,n.60).

 

A lei infatti come a madre Cristo affidò sul Calvario l'umanità redenta; è lei che è divenuta madre della Chiesa e dei membri che la compongono, formanti tutti quel corpo mistico di cui Cristo, suo Figlio, è capo.

 

Se i fratelli evangelici - anzichè isterilirsi in illogiche contestazioni quasi sempre in aperto contrasto con la Bibbia - volessero collocare anch'essi la Vergine nel posto in cui Dio l'ha voluta nel piano della salvezza, non tarderebbero a riconoscere essi pure, doverosi e pienamente conformi alla S.Scrittura, i titoli e gli omaggi che il mondo cattolico le tributa. Finirebbero, anzi, per fare eco festosa anch'essi alle parole risuonate sulle sue labbra divinamente ispirate: "Perchè ha guardato (il Signore) l'umiltà della sua serva, ecco fin d'ora tutte le generazioni mi chiameranno beata" (Lc. 1: 48). Sarebbe questo un passo decisivo verso la bramata unione religiosa e il modo migliore di accogliere la parola che ella rivolse ai servitori al banchetto di Cana: "Fate tutto quello che egli (il Cristo) vi dirà" (Gv.2:5).

 

Restare ostinatamente muti nel crescente coro di benedizioni e di lodi, che dai primi secoli si eleva sempre più festoso alla Vergine, significa non aver compreso l'altissima missione che come Madre di Dio e degli uomini ella è stata chiamata a compiere nella Chiesa di Cristo!

 

 

 

I protestanti contestano inoltre (domande 60, 67, 70,) ogni forma di culto alla Vergine e ai Santi: "Che culto di dulia e iperdulia, dato ai santi e a Maria, non sia idolatria espressamente proibita nella Bibbia? (Es.20:4-5; Lev.26:1; Mt.4:10).

 

L'idolatria, che la S.Scrittura proibisce, consiste nel prestare culto divino ad una creatura.

 

Quando Dio comanda di adorare lui solo con culto supremo ed assoluto non intende proibire quello inferiore, cioè di dulia e iperdulia, che si presta ai Santi come a suoi amici. E come un re non si reputa offeso se vengono onorati i suoi ministri ridondando sulla sua persona un tale onore, così pure il culto che si presta ai Santi si riflette su Dio, la cui gloria in essi appunto risplende.

 

E che tale culto non sia per nulla proibito, ce lo fa toccar con mano la stessa S.Scrittura: Abramo, Lot e Giosuè si prostrano riverenti agli angeli del Signore; Abdia, uomo giusto, venera col volto fino a terra il santo profeta Elia (III Reg. 18:17); l'Ecclesiastico esorta addirittura a lodare e glorificare gli uomini virtuosi:"Diamo lode agli uomini gloriosi, come Mosè, David,Giosuè; la loro sapienza è celebrata dai popoli e le loro lodi sono ripetute nelle sacre adunanze" (44:1-15).

 

E perchè i semplici fedeli sappiano anche ben distinguere tra il culto dovuto a Dio e quello prestato ai Santi, la Chiesa ha sempre insegnato a chiare note che il primo è di 'latria" o adorazione, mentre il secondo è di semplice venerazione cioè di "dulia". E siccome tra i Santi un posto del tutto singolare occupa la Vergine perchè Madre di Dio, a lei viene tributato un culto superiore a quello degli altri Santi, detto di "iperdulia", ma sempre distinto essenzialmente da quello di adorazione dovuto unicamente a Dio.

 

Quando dunque i Protestanti asseriscono - come ora nelle domande 54,69,72 - che i cattolici adorano la Vergine, i Santi o le loro reliquie o immagini, affermano delle autentiche falsità, e stupisce che dopo oltre quattro secoli dalla Riforma si vadano ripetendo simili banalità.

 

Non resta ormai che rispondere ad alcune specifiche domande circa l'uso delle immagini e la venerazione delle reliquie dei Santi, che gli Evangelisti ci pongono nei numeri 68 e 69: Che si possano fare delle statue dei Santi e della Madonna per ricordarsi di loro? (Is. 44:9-20; Salmo 115:2-9); e "portarle in processione? " (Es. 20:4-5; Is.44; 15:19; Ger.10:3-15).

 

 

 

Su questo punto delle immagini gli Evangelici non fanno che appellarsi al Vecchio Testamento, ma saprebbero essi direi come mai, mentre al c.20 dell'Esodo Dio proibisce le immagini, al c.25 comanda i cherubini per l'Arca santa? Come spiegare due ordini contraddittori di Dio nello stesso libro, a soli 5 capitoli di distanza?

 

Il c.20 è un testo molto antico, di fattura "eloista" e risalente a circa nove secoli prima di Cristo; vi era allora molto pericolo di politeismo e idolatria per gli Ebrei. Il c.25, invece, fu redatto dopo il ritorno dall'esilio babilonese e quindi quattro secoli più tardi del c.20: allora la mentalità giudaica era assai purificata per l'opera dei profeti e le sofferenze subite; infatti dopo di allora si avrà il rigido giudaismo, fedele (almeno esteriormente) alla Legge del Dio Unico. Per cui non era più troppo pericoloso l'uso delle immagini e si ricorse perfino ai cherubini, che erano divinità secondarie dei popoli circonvicini. Anche nell'antichissima sinagoga di Durw-Europos si trovano immagini nei resti archeologici.

 

Se dunque già nel quinto secolo avanti Cristo non vi era più pericolo che il popolo ebraico adorasse le statue e le immagini come divinità, vogliono i Protestanti che si cada in questo grossolano errore nel nostro secolo ventesimo?

 

 

 

Anche le citazioni bibliche apposte alle domande 62,63,68,69 si riferiscono tutte all'Antico Testamento, mentre per noi valgono invece le parole di S.Paolo "Noi sappiamo che non esiste alcun idolo al mondo, e che non esiste che un Dio solo"(I Cor.8:4). Cosi pure è puerile addurre in contrario Atti (10:25-26 e 14:18) nelle domande 72 e 73 in quanto ivi è chiaro che i pagani, venuti a contatto coi due Apostoli, li vogliono adorare perchè li credono esseri sovrumani, anzi gli abitanti di Listra scambiano addirittura Barnaba per Giove e Paolo per Mercurio! Noi questo non lo pensiamo neppure!

 

 

 

"Che le ossa dei morti ed altre reliquie siano investite di virtù miracolose, e che debbano essere esposte alla pubblica venerazione, baciate e portate in processione? "(71).

 

 

 

Cominciamo col dire che le immagini - in pittura o scultura - ci rappresentano la persona reale o ideale del Santo. le reliquie invece, riguardano o il loro corpo o frammenti di esso o cose adoperate da lui in vita o che vennero poi a contatto con le sue ossa o col suo sepolcro come sono appunto la croce, i chiodi, le spine, la Sindone cioé il lenzuolo che avvolse il corpo del Salvatore.

 

Alle une e alle altre - immagini e reliquie - la Chiesa Cattolica presta un culto relativo, vale a dire non vengono onorate per quello che sono in se stesse, ma in riguardo alla dignità della persona a cui si riferiscono, diretto, cioè, e indirizzato non a tali oggetti in sè, ma al santo a cui appartengono o che rappresentano. Così il fedele che si prostra in ginocchio dinanzi alla statua della Vergine, non intende venerare il pezzo di legno o di marmo che gli sta innanzi, ma la Vergine in persona che sta in Cielo. L'immagine gli serve solo a meglio elevare il cuore e la mente a Lei.

 

 

 

Lo stesso dicasi per le reliquie. Non sono le ossa e gli oggetti inanimati che distribuiscono grazie e miracoli, come si asserisce in campo protestante, bensì il Santo e in ultima analisi Dio, che si compiace di manifestare la sua potenza e la sua bontà per mezzo dei Santi, venerati con fede nelle loro immagini o nelle loro reliquie.

 

L'episodio evangelico con l'Emorroissa ce lo dimostra in modo evidente: "Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello - ella pensava di Gesù - sarò guarita".

 

Gesù, voltatasi, la vide e disse: "Coraggio, figliola, la tua fede ti ha guarita" (Mt.9:20-22).

 

Gesù approva quindi il comportamento della donna; non solo, ma anche altri passi del Vangelo (Mt.14:36; Me.6:15) ci fanno sapere che questo comportamento era normale: quanti toccavano l'orlo del mantello di Gesù guarivano. Anche di Paolo si raccontano negli Atti (19:11-12) cose simili: si mettevano sopra i malati fazzoletti e grembiuli che erano stati a contatto con Lui e le malattie cessavano e gli spiriti cattivi fuggivano". E di Pietro si legge che "operava guarigioni anche solo con la sua ombra" (At.5:15-16).

 

C'è dunque da stupirsi per il comportamento dei cattolici e per le numerose grazie e guarigioni prodigiose che i fedeli ottengono pregando con fede dinanzi ad immagini sacre e soprattutto nei Santuari Mariani come a Lourdes, Fatima, Loreto e Pompei?

 

 

 

Quanto al passo di Luca (11:27-28), citato in calce alla domanda 54, e da dire che - contrariamente a quanto gli Evangelici suppongono - Cristo, con l'affermazione: "Beati piuttosto quelli che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica", non solo non nega la grandezza di sua Madre, ma la esalta ancor più presentando un maggior motivo di lode, quello della sua fede, modello incomparabile per tutti i suoi seguaci. Ne è prova lo stesso Vangelo, il quale a questi riguardi esclama: "Beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore! (Lc. 1: 15).

 

 

 

ICapitolo VI IL PURGATORIO

 

Circa l'esistenza nell'aldilà da, di questo luogo o meglio di questo stato di purificazione delle anime nell'attesa di essere ammesse alla visione beatifica di Dio, dichiarata più volte verità di fede dalla Chiesa Cattolica, in campo protestante c'è il più netto rifiuto. "Il Purgatorio - leggiamo a pag. 17 dell'opuscolo - è una pura invenzione della Gerarchia Romana, non essendovi di esso neanche l'idea nel Nuovo Testamento. Tale dottrina è in contraddizione con le parole di Cristo, che dice che i suoi credenti vanno direttamente in Paradiso quando muoiono" (Lc.23:43; Gv.14:3).

 

E' anche un insulto alla efficacia del Sangue di Cristo che ci purga da ogni peccato (Gv.1:7). Questo (il Sangue di Cristo) è il vero Purgatorio evangelico, e non il Purgatorio di fuoco".

 

A vieppiù screditare su questo punto la Chiesa Cattolica, i Protestanti hanno cercato di confondere le idee, precisamente come nella questione del culto delle immagini, dove per essi tutto, anche la semplice venerazione, è adorazione e quindi idolatria.

 

Non diversamente essi fanno riguardo al Purgatorio: confondono insieme i dati dommatici della Chiesa con altri elementi -, a volte solo tollerati - , che la pietà dei fedeli o la devozione popolare ha introdotto con rappresentazioni talvolta fantasiose ed arbitrarie: cose che nascono in gran parte dalla difficoltà che incontra la fede nel non sapersi spiegare le condizioni dell'uomo dopo la morte.

 

Ecco cosa intende la Chiesa cattolica quando parla di Purgatorio e di Inferno: in fedele adesione al Nuovo Testamento e alla Tradizione essa crede alla felicità dei giusti, i quali saranno un giorno con Cristo. Crede altresì che una pena attende per sempre il peccatore, il quale sarà privato per tutta l'eternità della visione di Dio con ripercussione di tale pena in tutto il suo essere. Crede, infine, per quanto concerne gli eletti, ad una eventuale purificazione che è preliminare alla visione di Dio ed è, tuttavia, del tutto diversa dalla pena dei dannati (Cfr. Dichiarazione della S.Congr. per la Dottrina della fede, del 17/5/1979).

 

Che questo luogo di purificazione o Purgatorio realmente esista, ce lo dice la stessa ragione umana appoggiata alla S.Scrittura. Dall'Apocalisse (21:27) sappiamo infatti che nella celeste Gerusalemme "nulla di men che puro può entrare": lo richiede la giustizia di Dio prima di conferire il premio dell'eterna felicità. Ora sta di fatto che molti muoiono improvvisamente. Questi tali, se sono in peccato mortale e non hanno avuto tempo di pentirsi, vanno all'Inferno; se invece hanno avuto tempo e modo di pentirsi, all'Inferno non ci andranno più: il Signore misericordioso accoglie sempre il peccatore che si pente. Ma è anche vero che questi tali non hanno potuto in nessun modo far penitenza per i peccati commessi; come è anche vero che chi muore improvvisamente, anche se in grazia di Dio, non ha modo di pentirsi e di espiare per i peccati veniali; qualora ne abbia. Neppure per questo però egli andrà all'Inferno.

 

Adunque, all'Inferno no, perchè morti in grazia di Dio, in Paradiso no, perchè "nulla di men puro vi può entrare". Deve, per conseguenza, esserci un luogo, distinto dall'Inferno e dal Paradiso, dove le anime, passate di vita in grazia di Dio e non del tutto monde, abbiano la possibilità di purificarsi e rendersi degne di entrare nella patria beata.

 

Questo luogo di espiazione non solo non svalora il sacrificio della Croce, ma costituisce una tangibile espressione della infinita misericordia di Dio perchè in questo modo dà alle anime, non interamente monde, la possibilità di liberarsi dalle scorie del peccato espiando dopo morte la pena temporale dovuta alle loro colpe e che non hanno avuto tempo o modo di soddisfare durante la loro vita.

 

I nostri fratelli evangelici sono convinti che per essere ammessi al Paradiso basti aderire mediante la fede a Cristo; quanto poi all'espiazione dei peccati commessi - essi dicono - ha provveduto con sovrabbondanza Cristo: il sacrificio della Croce basta a soddisfare per i peccati di tutto il mondo!

 

Anche la Chiesa cattolica sa bene che Cristo ha soddisfatto con sovrabbondanza, ma sa pure che i suoi meriti infiniti, perchè siano all'individuo fruttuosi, debbono essere applicati caso per caso; come è pur vero che nell'ordine della Provvidenza è stabilito che anche noi, insieme con Cristo, dobbiamo operare la nostra salvezza. In ciò S.Paolo è molto esplicito: "Adempio in me ciò che manca (perchè fruttifichi) alla Passione di Cristo" (Col.1:24). E che cosa manca alla Passione di Cristo? Non certo l'efficacia di soddisfare essendo essa di valore infinito, ma manca l'applicazione al cristiano singolo, cosa che non può essere realizzata senza la sua libera accettazione e senza la sua personale cooperazione, proprio secondo il detto di S.Agostino; "Chi ti ha creato senza di te, non ti salva senza di te".

 

Se dunque qualcuno - pur trovato alla morte degno del Paradiso - non si è unito durante la sua vita ai patimenti di Cristo e insieme a lui non ha soddisfatto completamente per i propri peccati, non avrà altra possibilità per andare in Paradiso che compiere queste espiazioni nel Purgatorio e ciò pur avendo Cristo soddisfatto abbondantemente per i peccati del genere umano.

 

Anche se nella Bibbia - come ci rinfacciano i Protestanti - non troviamo la parola "Purgatorio", c'è però, e in modo assai chiaro, la cosa che con tale vocabolo si vuole significare.

 

Nel libro II dei Maccabei - della cui ispirazione divina neppure i Protestanti dovrebbero dubitare dal momento che lo cita anche S.Paolo (Ebr.11:35) - l'esistenza del Purgatorio emerge in modo evidente. Ivi infatti si narra come il prode Giuda Maccabeo, trovati dopo una sanguinosa battaglia su alcuni cadaveri degli oggetti idolatrici, presi nei paesi conquistati, ordina di fare tra i presenti una colletta e invia la somma - dodici mila dramme d'argento - a Gerusalemme perchè vengano compiuti dei sacrifici nel tempio per ottenere il perdono di questo loro peccato alle anime dei soldati caduti valorosamente per la patria.

 

E come se questo già non bastasse a fare comprendere il dovere che i vivi hanno di venire in aiuto dei defunti, il sacro testo autorevolmente conferma che "santo e salutare è il pensiero di pregare per i defunti perchè siano sciolti dai loro peccati" (II Macc.12:43).

 

 

 

E fuori dubbio che qui si tratta di individui morti con sentimenti di pietà religiosa e nell'amicizia di Dio; venivano a trovarsi, per conseguenza, non già nell'Inferno e neppure - a causa del peccato commesso - in Paradiso, ma in luogo di espiazione ossia in Purgatorio, altrimenti non avrebbero potuto "essere sciolti dai loro peccati".

 

 

 

Nel Nuovo Testamento si leggono espressioni che ne presuppongono l'esistenza.

 

Così in Matteo (12:32) Gesù parla di peccati che non saranno rimessi "né in questo secolo né in quello futuro"; altrove ammonisce che "nel giorno del giudizio" gli uomini dovranno rendere conto di ogni parola oziosa che avranno detto" (Mt,12:36); e a più chiare note ci esorta in Matteo (5:25-26): Mettiti subito d'accordo col tuo avversario, mentre sei ancora con lui in vita; affinchè l'avversario non ti consegni al giudice, e il giudice alla guardia, e tu non sia gettato in carcere. In verità ti dico: Tu non uscirai finchè non abbia pagato sino all'ultimo spicciolo".

 

Ora, qual è questa prigione ove alla morte si va per espiare una parola oziosa, un fallo commesso e non riparato e dalla quale si potrà uscire solo dopo aver pagato fino all'ultimo centesimo, se non il Purgatorio?

 

Contrariamente a quanto affermano i Protestanti - che nell'altra vita, cioè, esistano solo il Paradiso e l'Inferno -, S.Paolo riconosce dopo la morte tre stati in cui ci si può trovare al giudizio particolare: "Ma nel giorno del giudizio - egli scrive nella sua prima ai Corinzi (3:13-15) -, Dio rivelerà quel che vale l'opera di ciascuno. Essa verrà sottoposta alla prova del fuoco, e il fuoco ne proverà la consistenza. Se uno ha fatto un'opera che supera la prova, ne avrà la ricompensa (il Paradiso). Se invece la sua opera sarà distrutta dal fuoco, egli perderà la ricompensa (cioè avrà l'eterna condanna).

 

Egli personalmente (se si trova in una via di mezzo) sarà tuttavia salvo, come uno che passa attraverso l'incendio".

 

 

 

E veniamo ora alla prima delle citazioni (Mt. 25:46) che gli autori dell'opuscolo - per dimostrare la loro tesi - fanno seguire alla domanda 76: "Che vi sia un Purgatorio, come luogo intermedio tra il Paradiso e l'Inferno? ".

 

In questo passo il Vangelo presenta, è vero, solo questi due stati eterni, ma essi sono conseguenti al giudizio universale quando - anche secondo la Chiesa cattolica - il Purgatorio cessa la sua funzione.

 

Anche il fatto che il buon ladrone (dom.78) sia passato direttamente al cielo (Lc.23:43) subito dopo la morte, nulla prova in contrario perchè a lui è bastato come purificazione dei suoi peccati la fortunata vicinanza a Cristo morente (spettacolo assai commovente e istruttivo) e le sofferenze della crocifissione e spezzamento delle gambe. Quel che vale per il suo caso - veramente singolare - non vale come legge generale.

 

Cosi pure il passo di Giovanni (14:3) nulla prova in contrario, perchè ivi si parla del ritorno di Cristo alla fine del mondo, quando gli eletti tutti entreranno al posto loro preparato da Gesù presso il Padre. Tra l'Ascensione del Risorto al cielo e il suo ritorno alla fine del mondo cosa impedisce infatti la purificazione di alcune anime dopo la morte? Giovanni ci insegna (1:7-9) che è Dio che purifica da ogni peccato, ma non dice il modo come lo fa per cui può essere anche mediante l'espiazione dopo la morte.

 

Quanto al Salmo (49:6-9) è ovvio che nessuno può acquistare la propria salvezza con denaro; ma è pur vero che l'elemosina - fatta nel modo voluto da Cristo nel Vangelo (Mt.6:1-4), cioè animata dalla carità (I Pet' 4:8) - purifica da ogni peccato, come viene assicurato in Tobia (12:9): "L'elemosina salva da morte e purifica da ogni peccato", e in altri numerosi passi biblici.

 

 

 

Quanto alla dom.81 è da precisare che le anime del Purgatorio non "esaudiscono le preghiere dei loro amici rimasti sulla terra", ma - in quanto anch'esse amiche di Dio - chiedono che tali preghiere vengano esaudite.Né si vede - dopo quanto è stato detto nel capitolo precedente alle dom.50 e 53 - perchè esse non possano essere aiutate dai viventi con preghiere, Messe, suffragi, elemosine ed altre opere buone per affrettarne l'ingresso in Paradiso.

 

 

 

La domanda 83 sulla "visita della Madonna alle anime del Purgatorio il sabato" gli Evangelici la fondano su una rivelazione privata a S.Simone Stock e quindi non vi è alcun obbligo di crederla. Come infatti si sa, dopo l'ultimo dei libri rivelati, l'Apocalisse, la divina Rivelazione è chiusa e non vi possono essere se non delle rivelazioni private (Lourdes, Fatima,ecc.), le quali, anche se difese e incoraggiate dalla Chiesa come certe e fondate, non costituiscono tuttavia vero e proprio domma di fede.

 

Contro tale credenza, però, nulla prova la citazione di Luca(16:26) perchè in tale passo del Vangelo non del Purgatorio si parla ma dell'Inferno, separato dal Paradiso da un abisso, simbolo dell'impossibilità di cambiare stato, sia per gli eletti come per i dannati. Cristo,poi,"in ispirito andò ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che erano in carcere" (I Pet.3;19) e non in Inferno.

 

Capitolo VIII

 

 

 

LE BUONE OPERE

 

 

 

Chiamati a provare con la Bibbia 84" Che la salvezza dell'anima possa essere guadagnata col fare le opere meritorie... ? ---dobbiamo qui subito dire che neppure per la Chiesa cattolica le opere buone possono essere in se stesse causa efficiente della nostra eterna salvezza.

 

Questa - come si sa - è una realtà soprannaturale e come tale irraggiungibile dalle forze puramente umane, specie dopo il peccato d'origine; per conseguenza le opere buone non possono costituire il mezzo adeguato per conseguirla, ma solo l'espressione della libera cooperazione dell'uomo all'azione della grazia, dono soprannaturale che ci rende figli di Dio e partecipi della sua natura divina.

 

Se le buone opere vengono fatte in stato di grazia, meritano il Paradiso perchè così ha voluto Dio nella sua bontà! La ragione è evidente: in questo caso le opere vengono compiute non soltanto dall'uomo, ma dall'uomo e da Dio insieme, presente nell'anima del giusto mediante la grazia. Se invece a compierle è solo l'uomo, con le sole sue forze naturali e senza l'aiuto della grazia, esse non sono sufficienti per l'acquisto della vita eterna.

 

E che le cose stiano proprio così è Gesù stesso a dircelo: "Io sono la vite, voi i tralci; chi rimane in me ed io in lui, questi porta molto frutto, perchè senza di me nulla potete fare" (Gv.15:5).

 

E che le opere compiute in questo stato di grazia siano tutt'altro che inutili e costituiscano anzi una condizione indispensabile al conseguimento della vita eterna, risulta in modo indiscusso dal fatto che quando "tutti gli uomini compariranno davanti al tribunale di Dio e del Cristo" - come afferma l'Apostolo (Rom.14:10) e come si ha da molti altri passi della S.Scrittura - per riceverne l'eterna ricompensa, ciò avverrà "secondo le loro opere" (Ef.6:9; Mt.16:27; ecc.) e "secondo quello che avranno seminato" (Gal. 6:7-9).

 

Le opere quindi buone o cattive vengono ad avere un peso determinante nella sentenza di Cristo giudice, il quale non si attarderà a chiedere se gli uomini abbiano aderito a lui con la fede, ma se abbiano compiuto le opere che egli ha comandato di fare, unica dimostrazione valida della loro fattiva adesione. L'Apostolo in ciò è molto esplicito: "Noi, infatti, dobbiamo tutti quanti comparire davanti al tribunale di Cristo, perchè ognuno riceva la ricompensa di quel che avrà fatto mentre era nel corpo, sia in bene che in male" (II Cor.5:10).

 

 

 

Ed è appunto perchè il giudizio divino verterà sulle opere compiute che S.Paolo diverse volte fa degli elenchi delle opere cattive, che escludono dal regno di Dio, concludendo che "coloro che fanno tali opere non avranno in eredità il regno di Dio"(5:19-21).

 

Contrariamente a questa dottrina, fondata in modo tanto chiaro nella Sacra Scrittura, i Protestanti asseriscono che le opere dell'uomo non meritano mai il Paradiso, come non meritano, se peccaminose, l'Inferno. Sono un puro di più, inutile e perfino dannoso alla salvezza, perchè chi salva è la fede nei meriti infiniti di Cristo e soltanto quella, e chi ci danna è solo la mancanza di tale fede. .

 

Ci siamo chiesti donde essi traggano questa assurda conclusione, e abbiamo supposto che sia scaturita dalla risposta che Paolo e Sila, chiusi nella prigione di Filippi, diedero al carceriere che - rientrato in se stesso - così li interrogava: "Signori, che cosa devo fare per essere salvato? Essi risposero: Credi nel Signore Gesù. Sarai salvo tu e la tua famiglia" (At.16:30-31).

 

 

 

Da questa risposta essi probabilmente partono per affermare che per salvarsi è necessaria la fede (credere). E in ciò non sono lontani dal vero: la stessa cosa afferma infatti la Chiesa cattolica dato che proprio questo ha insegnato Cristo nel Vangelo: "Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, chi invece non crederà sarà condannato" (Mc.15:16).

 

Ma saprebbero dirci i fratelli evangelici in quale passo della Bibbia è scritto che per salvarsi basti e non sia necessaria che la sola fede? E poi, quale fede? quella dei martiri, o quella della stragrande maggioranza dei cristiani di oggi che poco o nulla sa di Cristo e meno ancora di pratica di vita cristiana?

 

 

 

Dal Nuovo Testamento risulta invece, quasi ad ogni pagina, che la fede, per essere vera ed autentica, deve accompagnarsi alle buone opere. S.Giacomo in ciò è molto esplicito: "Non ingannate voi stessi; non contentatevi di ascoltare la parola di Dio, mettetela anche in pratica" (1:22). E in modo ancora più chiaro: "Fratelli, a che serve se uno dice: io ho la fede! , e poi non lo dimostra coi fatti? Forse che quella fede può salvarlo? ... la fede da sola, senza opere, è morta" (2:16-17).

 

Il pensiero di Gesù non si discosta da questa affermazione dell'Apostolo: Al giovane ricco, che gli domandava cosa dovesse fare per conseguire la vita eterna, egli non propose semplicemente di credere, ma gli rispose: "Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti (Mt.19:17). Gesù pone così l'osservanza dei comandamenti - ossia il compiere le opere di bene - a base e come condizione indispensabile per raggiungere la salvezza. "Se vuoi", dipende quindi anche da lui, cioè dalla sua libera volontà e libertà. E se è necessario osservare i comandamenti per salvarsi, è chiaro che non basta la fede, ma ci vogliono anche le opere, le quali risultano così tutt'altro che inutili.

 

Ecco perchè Gesù insiste ancora: "Non colui che mi dice; Signore, Signore! (credere) entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli (compiere le opere) questi entrerà nel regno dei cieli' '(Mt.7:21). E nell'Apocalisse si legge:"Sì, vengo presto, portando con me la mia ricompensa per darla a ciascuno secondo le sue opere"(22:12).

 

I Protestanti adducono in contrario il passo di S.Paolo:"Nessuno sarà giustificato dinanzi a lui(Dio)mediante le opere della legge"(Rom.3:20); e ancora: "Noi riteniamo che l'uomo è giustificato per mezzo della fede senza le opere della legge" (Rom.3:28). Ma qui l'Apostolo - come è evidente - intende riferirsi non alle opere in genere, ma alle opere della legge mosaica (cerimoniali, circoncisione, e simili) ormai non più necessarie nel cristianesimo.

 

A meglio far credere trattarsi in questo passo paolino di ogni genere di opere, essi hanno fatto sparire dal testo originale della Bibbia "della legge" e vi hanno aggiunto "sola", traducendo quindi così: "L'uomo si giustifica con la sola fede senza le opere": il che è ben diverso da ciò che intendeva dire l'Apostolo.

 

Anche le due citazioni bibliche (Gal.2:16; Ef.2:8-10), apposte alla domanda, nulla provano contro il valore delle opere. La giustificazione si può avere certamente anche dalla fede ma a condizione che questa non si riduca a pura adesione intellettuale e che sia, in senso biblico, fiducia ed obbedienza ad una verità vitale che impegna tutto l'essere nell'unione a Cristo, come più volte indica l'Apostolo (II Cor.13:5-7; Gal.2:20; Ef.3:17). Ciò che S.Paolo decisamente respinge è il valore delle opere umane per meritare la salvezza senza fede in Cristo.

 

Volere inoltre sostenere l'inutilità dell'intercessione dei Santi (della cui efficacia abbiamo già parlato), dei sacramenti e del prete nel conseguimento della salvezza, significa chiudere gli occhi su quanto ripetutamente afferma la Bibbia. Così - quanto al battesimo - il Vangelo di Marco (16:16) espressamente dice: "Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo"; e S.Giacomo quanto all'Unzione degli infermi: "Qualcuno di voi è infermo? Chiami i sacerdoti della Chiesa e i sacerdoti preghino per lui, ungendolo con l'olio nel nome del Signore; la preghiera della fede salverà il malato e il Signore lo solleverà e se ha commesso dei peccati sarà perdonato" (5:14-15). Anche indispensabile risulta l'opera del sacerdote nell'evangelizzazione, alla quale missione in forza della sua stessa ordinazione viene particolarmente abilitato: "E in che modo ci saranno dei predicatori, se non sono mandati? " (Rom.10:13-15).

 

Anche riguardo alle cosiddette opere supererogatorie i fratelli evangelici hanno una concezione difforme da quella della Chiesa cattolica: esse non sono quelle necessarie o comandate od anche al di sopra del numero richiesto per la salvezza della propria anima - come ci si vorrebbe far credere nelle domande 84, 85 e 86 -, ma quelle di semplice consiglio, alle quali il cristiano non è strettamente tenuto. Così S.Paolo, parlando dei diritti e doveri degli sposi (I Cor.7:6-8 e sgg.), mette in risalto la preminenza del celibato virtuoso sul matrimonio, l'abbracciarlo però non è d'obbligo: costituisce un'opera buona, non comandata ma solo consigliata, e quindi supererogatoria. Quanto alla citazione di Isaia(1:12-18) della domanda 85, il profeta qui se la prende con un ritualismo cui non risponde un sentimento interiore, come fece Gesù nei riguardi dei farisei. Evidentemente. le azioni ivi indicate, compiute con tale atteggiamento puramente esteriore, neppure per la Chiesa cattolica hanno alcun valore meritorio, come è stato più volte spiegato; quindi la citazione non ci tocca.

 

Nelle citazioni apposte alla dom. 88 (Mt.15:11;1 Cor.10:25; I Tim.4:1-5) si parla di proibizioni alimentari basate sulla persuasione che alcuni cibi siano immondi per se stessi o dopo l'immolazione agli idoli. Per noi cattolici come, del resto, per la Bibbia, ogni cibo è puro. Questo però non toglie che a volte ci se ne possa privare per amore di Dio (cfr.Lc.4:2) e ciò anche come atto comunitario (At.13:3); ora, ciò che è bene davanti a Dio, l'autorità ecclesiale lo può anche imporre in nome di Lui (cfr.Mt.16:19;18:18).

 

Circa la domanda 89 abbiamo già altrove rilevato la differenza che passa tra la simonia e il "vivere dell'altare" (Cfr.I C or.9:7-14). Le dispense non si pagano e le tasse per quelle matrimoniali, stabilite dall'autorità, sono per il necessario mantenimento e funzionamento degli uffici relativi.

 

Quanto all'uso di portare oggetti di devozione addosso come pure all'uso del segno della croce, di cui nelle dom.90 e 91, dobbiamo dire che si tratta di gesti di fede e in tanto sono validi in quanto sono accompagnati da analogo sentimento interiore.

 

Gli autori dell'opuscolo citano S.Matteo (4:10-11) per riprovare l'uso del segno di croce; ma nel brano evangelico, ove si legge in che modo Cristo allontanò la tentazione, non viene per nulla condannato l'uso di segnarsi con la croce dicendo: "nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo"! Esso è un significativo gesto di fede che ricorda proprio come attraverso la croce di Cristo fummo liberati dal potere del diavolo e consacrati alla Trinità Santissima.

 

 

 

Capitolo IX

 

LA PREGHIERA

 

 

 

92. Che le preghiere possano essere rivolte a chiunque altro, oltre che a Dio, uno e trino?

 

Gli autori dell'opuscolo, basandosi sui passi biblici citati in calce a questa domanda, e cioè Matteo (6:6) "Ma tu, quando vuoi pregare, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto, e il Padre tuo, che è nel segreto, te ne darà la ricompensa"; Giovanni (16:23): "In verità, in verità vi dico: qualunque cosa domanderete al Padre, egli ve la concederà in nome mio"; come pure Atti (7:59) e I Cor. (1: 2), nei quali passi l'invocazione appare sempre rivolta al Padre sia pure fatta a nome di Gesù, concludono che le preghiere non debbono essere rivolte ad altri che a Dio e quindi fanno le più alte ed indignate meraviglie nel vedere noi cattolici rivolgere le nostre preghiere anche alla Vergine e ai Santi.

 

Se fosse realmente come gli Evangelici dicono, noi non potremmo rivolgerci nelle nostre preghiere neppure allo Spirito Santo, che pure è Dio, dato che nei detti passi nessun cenno si fa di preci a lui indirizzate.

 

D'altra parte, negli Atti (7:59) Stefano, durante la lapidazione si rivolge a Gesù, cioè al Figlio in quanto uomo, che egli contempla alla destra di Dio, pregando: "Signore Gesù, ricevi il mio spirito", preghiera che i suoi uccisori ritengono orribile bestemmia.

 

In nessun luogo della Bibbia si legge che nelle preghiere si debba fare ricorso solo a Dio. A suo luogo abbiamo infatti detto come la Vergine e i Santi, in quanto amici di Dio possano essere presso di Lui nostri intercessori, avvalorando e presentando le nostre stesse suppliche. Il continuo afflusso di fedeli e pellegrini d'ogni condizione, luogo e cultura, nei santuari, specialmente mariani, sta luminosamente a dimostrare la grande fiducia che viene riposta nell'efficacia dell'intercessione della Vergine e dei

 

Santi. E se innumerevoli - e non di rado miracolosi - sono i favori celesti che i fedeli ottengono rivolgendosi a loro, è chiaro segno che anche Dio approva tali prassi della Chiesa e tali preghiere, le quali, in ultima analisi, hanno per fine sempre Dio Padre attraverso Cristo nello Spirito Santo, come la Chiesa cattolica suole concludere le sue orazioni liturgiche.

 

Se quindi tutte le nostre preghiere, anche quando viene interposta l'intercessione dei Beati del cielo, finiscono a Dio, perchè stupirsi di invocazioni fatte ai Santi con la recita del Padre Nostro? (dom.94).

 

Interpretando inoltre alla lettera le parole di S. Matteo: "E quando pregate, non moltiplicate vane parole, come i pagani, che credono di essere esauditi a forza di parole" (6:7) come pure quelle di Isaia (1: 15), essi passano a riprovare nella dom.93 "Che la stessa preghiera si possa ripetere tante volte come si fa con la corona del rosario? ".

 

In tali passi, citati nell'opuscolo, come in non pochi altri della Bibbia, viene inculcata più che altro la necessità che la preghiera sia fatta col cuore e non con le labbra soltanto. Non vi si condanna l'insistenza nella preghiera fino all'importunità specie ripetendo la mirabile preghiera del Padre Nostro che Egli stesso ci ha insegnato.

 

Cosi pure chi pratica con fede ed amore la preghiera del rosario si accorge che essa è un facile mezzo di elevazione della mente e del cuore ai misteri della nostra Redenzione e non una pratica meccanica fatta di parole inutili: basta dire che la ripetizione dell'Ave Maria è solo un accompagnamento della meditazione degli avvenimenti gaudiosi, dolorosi e gloriosi della vita di Cristo e della Madre sua.

 

Quanto alla domanda 95, dove si riprova il fatto che in confessione vengano imposte delle preghiere in espiazione dei peccati, è da ricordare che la "penitenza" imposta dal confessore è solo un segno della buona volontà di convertirsi, è un minimo, un inizio. Nulla quindi di strano che si indichi per tale scopo un rilancio del contatto con Dio, la cui trascuratezza è spesso alla base del peccato.

 

Capitolo X IL BATTESIMO

 

 

 

96. "Che il Battesimo per spruzzamento di un po' d'acqua sulla testa della persona, lo fa cristiano, lava dal peccato, e salva l'anima? "

 

Questa domanda mette a nudo la concezione errata che i Protestanti hanno circa l'azione dei sacramenti in genere e del battesimo in particolare. Per essi i sacramenti nessuna grazia producono nell'anima, ma servono solo a suscitare dei buoni sentimenti in chi li riceve.

 

Il sacramento non sarebbe pertanto il veicolo o mezzo fisico, immediato, col quale viene conferita la grazia, ma solo una pia cerimonia e un rito puramente religioso. La giustificazione - secondo questa loro concezione - non avviene con la distruzione del peccato a mezzo del sacramento, come è fede nella Chiesa cattolica, ma con la sua copertura, in quanto Cristo copre coi suoi meriti infiniti come di un mantello i peccati. Di qui la quasi inutilità dei sacramenti.

 

Alla luce di siffatta concezione si spiega la loro sorpresa che un po' d'acqua sul capo del battezzando possa cancellare il peccato e salvare l'anima.

 

E' vero che la parola greca baptizo significa bagnare, fare il bagno, ed essendo il battesimo simbolo della morte, ci fu tra i primi cristiani l'uso di scendere in una vasca (come in una tomba - morire con Cristo) per poi salire lavati (risorgere con Cristo), ma questo modo di battezzare non era comandato, e quello per infusione fu praticato senza che per questo si dubitasse della sua validità. Leggiamo infatti negli Atti (2: 41); "Quelli adunque che accolsero la sua parola furono battezzati e, in quel giorno, il numero dei discepoli si accrebbe di circa tre mila persone.

 

Se in quel giorno solo furono battezzate tre mila persone, è chiaro che in Gerusalemme, dove c'era penuria d'acqua, non si potè fare il battesimo per immersione. Ne troviamo esplicita conferma anche nella Didachè - succinto catechismo della Chiesa primitiva - dove si insegna: "Battezzate così Nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo con acqua corrente, con acqua calda o fredda, e se non ne hai in quantità sufficiente spargi tre volte il capo".

 

D'altra parte, possono i fratelli evangelici provare con la Bibbia che Cristo abbia stabilito una determinata quantità d'acqua da usare nel battesimo e quali parti del corpo debbano essere lavate perchè il sacramento sia valido?

 

Nel rito del battesimo quel che conta è il segno del lavarsi il corpo per l'anima. Certamente è più espressiva l'immersione - che quasi sempre, anche se non ovunque, è stata praticata pure nella Chiesa cattolica - ma ciò non toglie che motivi pratici di necessità o di utilità possano consigliare altra forma. Quel che conta è conservare nel rito il significato simbolico.

 

Il battesimo - secondo la Bibbia - seppellisce il peccatore nella morte di Cristo (Col.2:12), da dove esce mediante la risurrezione con lui nuova creatura, membro dell'unico corpo animato dall'unico Spirito (I Cor.12:13); è un lavacro che purifica (Ef.5:26); è come una nuova nascita (Gv.3:5): insomma, è un rito simbolico efficace, che realizza ciò che significa.

 

Contro questa dottrina biblica, che è precisamente quella della Chiesa cattolica, cosa hanno di contrario i brani di Matteo (28:19-20) e di Marco (16:15-16), citati nella domanda? Proprio nulla! Da tali brani appare solo l'ansia di Gesù che tutti vengano battezzati perchè siano salvi.

 

97 Che i bambini debbano essere battezzati subito dopo nati ...?

 

I Protestanti, convinti come sono che i sacramenti hanno lo scopo di suscitare dei buoni sentimenti in chi li riceve, sostengono che per ricevere il battesimo si richiede un vero ed esplicito atto di fede anche perchè si legge nel Vangelo "Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato" (Mc.16;16). I neonati sono incapaci di credere, quindi non debbono essere battezzati.

 

Ma un grosso equivoco sta alla base di questa loro affermazione: le parole di Gesù si riferiscono alla predicazione che gli Apostoli imprendevano allora: si trattava di annunziare il regno di Dio alla gente che viveva in quel tempo ed è chiaro che non si va a predicare ai neonati ma agli adulti, giudei o pagani che fossero, i quali prima di abbracciare la nuova religione dovevano naturalmente convertirsi. Era quindi ovvio che questi tali, prima di ricevere il battesimo, dovevano già credere.

 

Il fatto che i neonati nulla capiscono ancora di battesimo non impedisce che lo possano ricevere validamente; e come contraggono il peccato d'origine senza saperlo venendo al mondo privi dell'amicizia con Dio (Rom.5:19), così pure niente di strano che ne siano liberati senza che ne siano a conoscenza. Il sacramento produce lo stesso la grazia nell'anima.

 

Quando Gesù disse a Nicodemo:" ... se uno non nasce da acqua e da Spirito non può entrare nel regno di Dio" (Gv.3:5), la nascita spirituale è causata (in greco c'è la particella ek che esprime assai bene tale causa) proprio dall'acqua, vale a dire dal rito del battesimo.

 

Se dunque il sacramento produce per sè, direttamente, la grazia nell'anima in quanto opera interiormente ciò che il lavacro dell'acqua esprime esteriormente, non si vede perchè questo grande beneficio debba essere negato ai neonati, quando esso potrebbe segnare il fortunato atto di nascita alla vita della grazia e al diritto gioioso del regno dei cieli. E questo tanto più in quanto il battesimo costituisce l'unica via ordinaria per ricevere la vita soprannaturale; diciamo "ordinaria" perchè Dio potrebbe usare vie straordinarie e a noi sconosciute nella sua infinita bontà e misericordia; ed è per questo che non osiamo affermare che tutti i bambini morti senza battesimo restino privi della beatitudine del cielo. E invece certo che non andranno all'Inferno perchè non hanno peccati personali che lo meritino.

 

Gli autori dell'opuscolo citano Marco (10:13-16) per sostenere che i neonati non hanno bisogno di battesimo; ma in tale brano, ove Gesù dice: "Lasciate che i fanciulli vengano a me ... perchè il regno di Dio è di quelli che sono simili a loro", il termine greco, usato per "fanciulli", non può essere applicato a neonati, ma a fanciulli tra i 7 e i 14 anni come si ha da Marco 5:42; e noi sappiamo che a quest'età si possono commettere benissimo dei peccati e rifiutare perfino di credere. Non entrano quindi nel regno di Dio per il solo fatto di avere meno di 14 anni.

 

Cristo loda nei fanciulli alcune caratteristiche virtù e qualità come la semplicità, l'assenza di pregiudizi di prevenzioni,ecc. Anzi in Matteo (18:3) afferma in forma assoluta e categorica la necessità di farsi fanciulli per entrare nel Regno. Con tali parole Gesù vuole senza dubbio dire che il regno di Dio è un dono e per riceverlo bisogna mettersi nella condizione di chi si riconosce povero e indigente, debole e bisognoso di aiuto. E niente quanto il battesimo dei neonati mette in evidenza l'assoluta gratuità dell'adozione a figli da parte di Dio. Proprio per questo il citato testo di Marco viene usato nella Chiesa cattolica nel rito del battesimo dei bambini!

 

 

 

Quanto alla dom.98 - in cui si critica l'uso dell'olio, del sale e della saliva del prete -, dobbiamo dire che Cristo, istituendo il battesimo, non ha fissato i riti da usare, e quindi resta nelle facoltà della Chiesa stabilirle ed eventualmente modificarle o sopprimerle, tanto è vero che ora né il sale né la saliva vengono più usati. In tali eventuali modifiche deve naturalmente essere sempre salvaguardata la sostanza del rito voluta da Cristo, cioè l'elemento materiale dell'acqua e quello delle parole che spiegano il gesto ("Io ti battezzo..."), che sono gli unici necessari per la validità, come la Chiesa cattolica ha sempre insegnato e praticato.

 

Capitolo XI LA SACRA SCRITTURA

 

Col nome di Sacra Scrittura o Bibbia si suole designare il complesso dei 73 (secondo altro modo di computarli, 72) libri sacri che la compongono: 46 del Vecchio Testamento e 27 del Nuovo Testamento.

 

L'elenco o Canone di tutti e singoli si ha nell'anno 382 in un sinodo tenuto a Roma e si legge anche in quello cartaginese del 397, vale a dire oltre mille e cento anni prima dell'avvento del Protestantesimo. Il criterio per discernere i libri ispirati da quelli non sacri è l'accettazione da parte della comunità cristiana, e particolarmente dell'autorità apostolica, cui Cristo affidò l'incarico dell'insegnamento della verità.

 

In quanto libri sacri, da Dio ispirati, essi non potevano essere affidati che alla Chiesa che Cristo aveva istituito, come si può intuire da Matteo 28:19-20 (presso il popolo eletto erano i sacerdoti del Tempio ad averne cura), e quindi tocca ad essa e ad essa soltanto il compito di interpretarli e di portarli alla conoscenza dei popoli nella, loro nativa integrità e genuina realtà. E perchè tali libri possano essere rettamente compresi dai fedeli e non corrano il rischio d'essere fraintesi o adulterati, la Chiesa ha stabilito che non vengano messi in circolazione senza l'Imprimatur della competente autorità ecclesiastica e non corredati da note esplicative nei passi di più difficile interpretazione. Da queste provvide e doverose misure, usate dalla Chiesa cattolica a salvaguardia dell'integrità e autenticità dei sacri testi, prende le mosse la domanda 99: "Che non sia lecito ad alcuno di leggere la Bibbia senza le annotazioni e l'Imprimatur della Chiesa romana? "

 

Purtroppo queste cautele, prese dalla Chiesa cattolica e delle quali viene essa continuamente accusata dai Protestanti, non son bastate a scongiurare del tutto il pericolo e son servite solo a mettere in guardia i fedeli cattolici. Infatti il Protestantesimo di quei 73 libri ne ha accettato solo 66 rigettandone sette: Tobia, Giuditta, Sapienza, Ecclesiastico, Baruch e I e II dei Maccabei; distribuendo in tal modo al popolo cristiano testi incompleti, privi di note esplicative e quindi soggetti a interpretazioni errate e tradotti altresì in non pochi passi - specie il Nuovo Testamento - in modo inesatto e tendenzioso.

 

Di tali sacrileghe manomissioni sono stati gli stessi capi storici del Protestantesimo a lamentarsi, e tra questi Zuinglio il quale - a proposito della traduzione della Bibbia fatta da Lutero - ebbe a dire che essa "alterava e corrompeva la parola di Dio".

 

Il Protestantesimo fa consistere l'evangelizzazione dei popoli nel distribuire Bibbie senza il necessario sostegno dell'autentico magistero ecclesiastico. Cristo non disse: distribuite Bibbie e discutete: dal libero confronto delle interpretazioni germoglierà la verità; bensì:"Ammaestrate ... battezzate ... insegnate". E fu ai Dodici che lo disse.

 

Circa l'utilità della lettura delle sacre Scritture, quanto dicono i due passi (Gv.5:39 e II Tim.3:15-17), citati nell'opuscolo, è certamente vero, ma è non meno vero quanto si afferma in II Pet.3:15-16: "In esse (le lettere di S.Paolo) ci sono alcune cose difficili da comprendere e gli ignoranti e gli instabili le travisano, al pari delle altre Scritture, per loro propria rovina". E ciò appunto perchè come si ha nella medesima lettera di Pietro (1:20) -: ... nessuna profezia della Scrittura (e questa è tutta profezia in quanto parola di Dio e annunzio del Cristo) è soggetta a interpretazione privata".

 

Contravvenendo a un così chiaro ammonimento della Bibbia, Lutero pose invece a base del suo insegnamento il principio del libero esame, in forza del quale ognuno ha l'inviolabile diritto di trarre dalla Bibbia - secondo la propria privata interpretazione - la dottrina da credere per salvarsi e la libertà di dar vita a una propria setta o chiesa.

 

La lettura della Bibbia può così aiutare nel cammino verso la salvezza come può essere anche di inciampo, se interpretata in modo distorto proprio come di Cristo che è " ... sasso contro cui si inciampa e pietra di scandalo" per chi non crede (I Pet.2:6-7).

 

Proprio nel citato Gv.5:39 Gesù attesta - ed è significativo! - che i suoi ascoltatori scrutavano le Scritture credendo di avere in esse la vita eterna; eppure non ne accettavano la testimonianza resa a Cristo. Non basta "scrutare" le Scritture: occorre aprire davvero il cuore alla voce di Dio. Non capiti anche ai nostri tempi di non accorgersi della testimonianza che le Scritture rendono alla Chiesa, sicché questa debba dire: "Se non credete a quello che è scritto, come potete credere alle mie parole?" (Gv.5:47).

 

Non contenti d'essersi sbarazzati degli elencati sette libri i protestanti rigettano anche la sacra Tradizione, cioè l'insegnamento orale trasmesso da Cristo agli Apostoli e da questi al magistero della chiesa: "Che la Tradizione abbia la stessa autorità dalle sacre Scritture? -.

 

Per far credere d'essere nel vero, essi equivocano anche qui confondendo e facendo un tutt'uno dell'autentico insegnamento orale di Cristo e degli Apostoli - quello che noi chiamiamo appunto "sacra Tradizione.. - e le deliberazioni, disposizioni, pie pratiche,ecc., emanate dalla Chiesa nel corso dei secoli, per poi rigettare tutto in blocco come parola dell'uomo. Nell'opuscolo si fa perfino un elenco di 44 "Aggiunte dell'uomo alla parola di Dio", che non è altro che un coacervo di falsificazioni e confusioni storiche che solo gli ignoranti più grossolani possono credere.

 

Quando i Cattolici parlano della Tradizione divina affiancandola alla Bibbia - quale parola di Dio non scritta alla parola di Dio scritta -, essi non intendono affatto includervi queste presunte innovazioni, lamentate nell'opuscolo, ma si riferiscono unicamente a ciò che accenna

 

S.Paolo: "Vi raccomandiamo poi, fratelli, in nome di Nostro Signor Gesù Cristo, di tenervi lontani da qualunque fratello che viva ... non secondo le istruzioni che avete ricevute da noi" (II Tess.3:60); e con maggior precisione al 2:15 della medesima lettera; "Perciò, fratelli, state saldi e mantenete le tradizioni che avete apprese così dalla nostra parola come dalla nostra lettera".

 

La "parola" quindi prima della "lettera"!

 

Quando l'Apostolo scriveva - intorno al 53 - ai Galati, assai preoccupato che dei giudaizzanti si erano infiltrati in quella comunità: "Ma quand'anche io stesso o un angelo del cielo vi annunziasse un Vangelo diverso da quello da me predicato, sia scomunicato" (1:8), non alludeva a qualcuno dei quattro Vangeli, dei quali almeno tre non erano neppure ancora redatti, ma al suo insegnamento orale, che era anch'esso annunzio del Vangelo. Egli non aveva fatto che trasmettere (- paradidomi, da cui paradosis- tradizione in greco, e tradere in latino, da cui tradizione) quello che a sua volta egli aveva ricevuto: "Vi ho infatti trasmesso in primo luogo"..(I Cor.15:3).

 

 

 

E' appunto di questa Tradizione - che non ha nulla a che vedere con la parola degli uomini -, trasmessa a viva voce da Cristo agli Apostoli e da questi parimenti a viva voce insegnata, che la Chiesa cattolica intende parlare e che i nostri fratelli evangelici irragionevolmente rigettano.

 

Tale loro rifiuto appare ancor più ingiustificato se si pensa che Cristo non scrisse né ordinò di scrivere la sua dottrina, ma trasmise a viva voce il suo messaggio evangelico, tanto che S. Giovanni ha potuto affermare nel suo Vangelo: "Ci sono molte altre cose che ha fatto Gesù, le quali se fossero scritte ad una ad una, non so se il mondo stesso potrebbe contenere i libri che si dovrebbero scrivere" (21:25).

 

 

 

Allorché gli Apostoli - dopo l'Ascensione - si sparsero tra le nazioni a predicarvi la parola di Dio, i Vangeli e gli altri scritti del Nuovo Testamento non esistevano ancora; si dovette aspettare dai venti ai sessant'anni prima che essi venissero tutti compilati.

 

Anzi Paolo, Barnaba e undici dei dodici Apostoli erano già morti quando tra l'80 e il 100 Giovanni scrisse il suo Vangelo, nel quale - come sappiamo - si leggono cose che gli altri evangelisti non dicono ma che erano state predicate ovunque lo stesso, non certo per averle lette ma perchè apprese oralmente da Cristo.

 

Da ciò risulta evidente che la parola di Dio trasmessa oralmente, cioè la Tradizione, ha preceduto nel tempo quella scritta, ossia il Nuovo Testamento, ed ha per conseguenza la stessa autorità!

 

 

 

Lo stesso elenco o Canone dei libri ispirati è alla Tradizione che noi possiamo attingerlo. I fratelli evangelici possono forse provare con la Bibbia che i loro 66 o 65 libri sacri siano ciascuno e in tutte le sue parti "parola di Dio? ".

 

 

 

Quanto ai tre passi biblici, citati nell'opuscolo, i primi due si riferiscono appunto alle tradizioni umane e quindi non riguardano affatto la Chiesa cattolica che dei libri sacri ha avuto sempre la massima venerazione. Il terzo ( ... se uno vi fa delle aggiunte... e se uno toglie qualcosa dalle parole di questo libro profetico, Dio toglierà la sua parte dell'albero della vita e dalla città santa..."(Apoc.22:18-19) riguarda chi falsifica l'Apocalisse. Estendendo tale minaccia in difesa di tutta la Scrittura, essa colpisce coloro che presero l'elenco dei libri ispirati dalle mani della Tradizione osando di toglierne arbitrariamente alcuni perchè non confacenti con le proprie opinioni e concezioni religiose.

 

 

 

Il Signore vi dia pace

 

Frà Tommaso Maria di Gesù

 

Frati minori rinnovati

 

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